Accordo quadro Svizzera-Unione europea

 

LA RIPRESA DINAMICA DEL DIRITTO DELL’UE DESTABILIZZA LA SVIZZERA

 

È doveroso premettere che la Svizzera deve continuare a mantenere contatti buoni e costruttivi con l’Unione europea. La Svizzera e l’Unione europea sono riuscite negli ultimi decenni a creare un solido rapporto di collaborazione, concludendo molti accordi bilaterali, tuttora validi. Da qualche anno l’UE esige però dalla Svizzera un Accordo quadro (o istituzionale) da applicare ai cinque accordi di accesso al mercato tuttora esistenti (Libera circolazione delle persone, trasporti terrestri, Trasporto aereo, Agricoltura, Abolizione degli ostacoli tecnici al commercio). L’UE non è più disposta ad aggiornare i singoli accordi bilaterali, ma richiede alla Svizzera di avvicinarsi sempre più al diritto comunitario e di riprenderlo. Il prossimo passo sarebbe l’Accordo quadro. Ma esso trova ostacoli nel nostro Paese e quindi, per il momento, non è ancora firmato. Intanto l’UE si mostra impaziente e non esita a mettere pressione attuando misure discriminatorie e tutt’altro che diplomatiche come ad esempio il mancato riconoscimento dell’equivalenza borsistica.

Per il Consiglio federale e per quasi tutti i partiti svizzeri vanno ancora approfonditi alcuni punti: Aiuti di Stato, Misure d’accompagnamento, Direttiva sulla libera circolazione dei cittadini dell’UE. L’UDC è contraria all’Accordo quadro indipendentemente dall’esito degli approfondimenti in corso. Si oppone soprattutto alla ripresa dinamica del diritto dell’UE, per tanti motivi.

Democrazia diretta in primo piano

La storia della Svizzera e dei cantoni che la compongono si basa sui valori della democrazia diretta, dell’indipendenza e del federalismo. Questa semplice constatazione ci indica che la ripresa del diritto comunitario e in ultima analisi la subordinazione alla Corte europea di giustizia dell’UE non può essere presa in considerazione se ci poniamo l’obiettivo di mantenere i valori fondamentali del nostro Stato. Nell’Accordo quadro si spiega che la Svizzera viene consultata prima di aggiornare il diritto e che la ripresa del diritto europeo non avviene in modo automatico. Si spiega perfino che la Svizzera può mantenere il diritto al referendum.

È vero che la Svizzera potrebbe opporsi alla ripresa del diritto europeo, per esempio in Parlamento o a livello di votazione popolare, ma se ne dovrebbe assumere le conseguenze. Qualora la Svizzera avesse delle difficoltà ad accettare un testo legislativo dell’UE (negli ambiti previsti dall’Accordo quadro) si ricorrerebbe a un Tribunale arbitrale. Se questo tribunale non fosse in grado di appianare la controversia per una questione di interpretazione o applicazione di una disposizione, dovrebbe ricorrere alla Corte di giustizia dell’UE, la cui decisione andrebbe applicata. Se la Svizzera non la volesse applicare verrebbero imposte misure di compensazione. In parole povere sarebbero delle punizioni o peggio ancora delle ritorsioni (la discriminazione sull’equivalenza borsistica è solo un piccolo assaggio). Risulta quindi chiaro che l’UE si troverebbe in una posizione di forza rispetto alla Svizzera, in quanto nelle controversie sull’applicazione del diritto comunitario farà stato la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE.

Ma c’è di più !

Le intenzioni dei promotori dell’Accordo quadro si spingono ben oltre. Nel messaggio non ci si limita a voler concludere i già citati cinque accordi di accesso al mercato. Si lancia pure (prima pagina del messaggio) l’intenzione di avviare negoziati allo scopo di modernizzare anche l’Accordo di libero scambio del 1972. Rinegoziare questo accordo significa interferire nelle politiche cantonali in ambiti molto sensibili come gli aiuti statali. Infatti molti cantoni, nelle loro prese di posizione, ritengono inaccettabile voler scalfire i principi del federalismo e svilire le competenze dei cantoni nella politica fiscale, in quella agraria, nel campo degli aiuti regionali, in quelli dell’insediamento di aziende oppure per quanto attiene la garanzia statale alle banche cantonali o il riconoscimento delle assicurazioni dei fabbricati cantonali.

La fine dei bilaterali e del federalismo

Attualmente in Svizzera si sente spesso affermare che l’Accordo quadro consoliderebbe i bilaterali con l’Unione europea e ne garantirebbe lo sviluppo. La realtà è invece diametralmente opposta. L’Accordo quadro non garantirebbe nessuno sviluppo dei bilaterali da parte della Svizzera. Ne sancirebbe invece la fine, perché il diritto di svilupparli (e imporli) passerebbe all’UE. La Svizzera non avrebbe più la stessa forza negoziale. Sì, verrebbe consultata, ma non avrebbe nessuna competenza decisionale e tantomeno nessun diritto di veto.

Con l’Accordo quadro ci sarebbe uno spostamento delle competenze federali al livello superiore, vale a dire all’UE. Oggi invece la Svizzera può negoziare con l’UE allo stesso livello. Per contro, se la Svizzera accettasse l’Accordo quadro e se in una seconda tappa decidesse di modernizzare l’Accordo di libero scambio del 1972, l’UE eserciterebbe un influsso diretto anche sulla nostra politica fiscale, a livello federale cantonale e comunale.

La quiete prima della tempesta

Una decisione di grande portata come l’Accordo quadro con l’UE dovrebbe a rigor di logica essere sottomessa al referendum obbligatorio. Attualmente non si sente nulla dalla Berna federale sulle possibili scadenze. Prima delle elezioni del 20 ottobre la politica a Palazzo preferisce attendere e non esporsi. La sensazione è però quella che dopo le elezioni si voglia accelerare e chiudere il dossier aperto con l’UE, concedendole di legiferare per la Svizzera. (Questa attesa ci fa rivivere una situazione analoga a quella legata alla votazione popolare sulla strategia energetica del 21 maggio 2017. In quell’occasione prima della votazione la politica a livello federale fece di tutto per tenere a bada i cantoni di montagna che fondano la loro esistenza sui benefici dell’idroelettrico e in particolar modo sui canoni d’acqua. Dopo un mese dalla votazione popolare, il 22 giugno 2017, il Consiglio federale comunicò l’intenzione di rivedere (al ribasso) proprio i canoni d’acqua.)

Quali cittadini svizzeri e in primo luogo grigionesi dobbiamo impegnarci per non dover rinunciare alle competenze sulle nostre risorse e sul nostro diritto, traferendole all’amministrazione e alla Corte di giustizia dell’UE. Mantenere le nostre competenze significa puntare sulla forza contrattuale e negoziale per favorire, come finora, contatti buoni e costruttivi sia con l’UE che con qualsiasi altra nazione. Da sempre la Svizzera è un Paese aperto al mondo.

Livio Zanolari, candidato al Consiglio nazionale, lista 14